Origini ispirazioni e autoappoggio nella psicoterapia della Gestalt

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Origini ispirazioni e autoappoggio nella psicoterapia della Gestalt

“L’uomo integrato, cioè l’uomo con auto sostegno, secondo Perls è l’“esistenziale”: quella persona che si accetta per come è e vede il mondo come è.”

 

Capitolo Primo

Origini e ispirazioni della Psicoterapia della Gestalt

 

Psicoterepia delle Gestalt e psicologia della Gestalt

La terapia della Gestalt non é la psicologia della Gestalt e neanche una sua estensione (Mary Henle -Scilligo 1° – 1981). Secondo l’autrice vi è sempre stato un equivoco, anche da parte dei biografi , nell’attribuire a F. Perls una appartenenza alla psicologia della Gestalt. Perls è il fondatore della psicoterapia che denominò Gestalt, ma il suo approccio é ben lontano dalla psicologia di Wertheimer, Kohler, Koffka, anche se egli stesso contribuisce a mantenere la confusione, quando dedica una delle sue opere, ‘Ego,Hunger and Aggression a Max Wertheimer, per poi dichiarare che i Gestaltisti accademici non lo avevano mai accettato. Egli riconosce di non essere un Gestaltista puro e poi afferma in “In and Out the Garbage Pail” che la sua prospettiva deriva “da una scienza che é bellamente nascosta nelle nostre università; deriva da un approccio chiamato psicologia della Gestalt”. Secondo Mary Henle c’é una differenza sostanziale tra F. Perls e gli psicologi della gestalt. Questi dissentivano dalla cosiddetta psicologia scientifica, “non perché essa fosse scientifica ma perche fraintendeva la scienza”.

Essi opponevano ad una concezione atomistica, meccanicistica, un modello di “teoria del campo” . Ma questo modello entrava comunque nella tradizione delle scienza naturali. Perls no. Perls rifiuta la psicologia scientifica. Egli parla di esistenzialismo, di fenomenologia, di consapevolezza, di un ” modo di vedere il mondo senza la deformazione dei concetti”. E la scienza, si sa, é concettuale. Nelle sue opere, nei seminari, Perls si riferisce spesso al Karma, al fato, al satori, ad una concezione e a valori che sono fuori di qualsiasi concezione scientifica. Al contrario gli psicologi della Gestalt , pur riconoscendo il fallimento dell’approccio meccanicistico nella spiegazione dei fenomeni, non esclude la possibilità di un approccio scientifico diverso. Un altro punto fondamentale é l’antintellettualismo di Perls: “l’intelletto é la prostituta dell’intelligenza”, egli dichiara, mentre gli psicologi della Gestalt lo tengono in gran conto. Essi considerano “il pensiero disciplinato” positivamente, e la sua manifestazione, forse piu elevata, é la scienza. Secondo l’autrice anche il significato della parola Gestalt assume diversi significati. Perls stesso definisce la Gestalt una “essenza” . Per la psicologia il significato è ‘forma’. La disamina continua, serrata, su vari punti, tesa a dimostrare che in effetti Perls usa un linguaggio ed una terminologia e attribuisce dei significati che non corrispondono alla originaria interpretazione data dalla psicologia della Gestalt. Ma quello che sembra fondamentale nella esposizione critica della Henle, é che la terapia della Gestalt si occupa della personalità, della psicopatologia e della psicoterapia, mentre la psicologia della Gestalt accentra il suo interesse sulla percezione e sulla cognizione. E’ evidente che, con impegni così diversi, le due aree sono di difficile confrontazione. Ma anche l’uso che fa Perls del termine “fenomenologia” é diverso da quello della psicologia. La fenomenologia psicologica é un “primo passo” verso la ricerca sperimentale, per Perls “fenomenologia è un primo, indispensabile passo verso la conoscenza di tutto quello che si deve conoscere”. Il riferimento all’esistenzialismo é evidente. Quindi, conclude l’autrice, anche se Perls ha usato terminologia e concetti della gestalt, in realtà la sua teoria é una completa rielaborazione che poco l’accomuna all’approccio originario. “E’ la sua cosa”.

 

Analisi esistenziale e psicoterapia della Gestalt

Perls riconosce che il suo approccio viene dall’incontro di diversi elementi provenienti da vari indirizzi, i quali si sono fusi in maniera tale da dar luogo ad una organizzazione diversa dall’insieme delle parti che la compongono . (Perls 1971). Ma la matrice alla quale dà più attenzione é quella esistenziale, pur sottolineando che le scuole esistenzialiste enfatizzano l’esperienza diretta, e poi costruiscono delle strutture concettuali di riferimento: Kirkekard la teologia protestante, Buber il giudaismo, Sartre il comunismo. La psicoterapia della Gestalt é invece pienamente “ontologica” , riconosce sia l’attività concettuale, sia la formazione biologica delle “Gestalten”. Perls ritiene che questo duplice aspetto la fa essere veramente esperienziale (Perls – Scillico 1931). Perls considera la filosofia esistenziale una filosofia che si interessa dell’essere. Le filosofie in generale vogliono dare “una spiegazione della vita” o dettare degli ideali ai quali la persona dovebbe uniformarsi per vivere. In realtà non é possibile sapere cosa é avvenuto nel passato e come é sorto il mondo. Alle fine di ogni ricerca si trova il nulla. Poiché l’uomo non sopporta l’idea del nulla, del vuoto, inventa qualcosa che lo riempia, “una spiegazione”. Ma il tentativo di spiegare é un ostacolo per la comprensione, è solo lavoro intellettuale, mentre “quello che é , è” , come dice Gartrude Stein: “una rosa è una rosa é una rosa”. (Perls 1980)

La Gestalt é un approccio terapeutico che si adatta alle teorie esistenziali. All’analisi esistenziale si arriva attraverso la fenomenologia, che vuol dire, nel caso di un approccio terapeutico, ma anche di qualsiasi “contatto che stabilisca con un’altra persona, “capire il suo modo di essere nel mondo” (Wilson Ven Dussen 1970). L’autore tiene a sottolineare che una persona non arriva al mondo avendo già categorie di pensiero, modelli, termini di paragone. L’uomo arriva all’esistenza completamente privo di qualsiasi sistema oggettivo di riferimento. Non ha niente a cui potersi adattare. Le sue esperienze, il più delle volte sono strane e contraddittorie e il fenomeno che vive è diverso da quello degli altri, da come gli altri lo descrivono. Ecco perché é difficile che un terapeuta possa comprendere il mondo interno del paziente, facendo riferimento a concetti e a strutture di tipo psicologico. Uno schizofrenico definibile come psicotico nella psichiatria classica, può essere descritto come una persona “che vive alla superficie dei suoi occhi e della sua lingua, poiché il suo cuore ed il suo cervello sono paralizzati”, in termini fenomenologici. Questo secondo tipo di approccio offre un enorme vantaggio: il paziente si sente capito perché percepisce un tentativo di contatto con il suo mondo, con quello che sta vivendo. Viceversa nutre rifiuto e repulsione per un termine tecnico “psicotico” che gli dà una etichetta, definendolo in termini diagnostici e disumanizzanti. In definitiva l’analisi esistenziale prevede un tentativo di comprendere “l’essere nel mondo” dell’altro.

Questo tentativo non ha bisogno del giudizio e della valutazione del terapeuta e neanche della sua condivisione del mondo del paziente, anche a costo di fingere. Il terapeuta può restare con il suo mondo, vivere la sua esperienza, continuare ad essere un individuo distinto dall’altro, quale è. Non ha particolari poteri, ma compie uno sforzo continuo per capire l’altro. Questo metodo di indagine, questo continuo impegno alla esplorazione dell’altro caratterizza e distingue un approccio fenomenologico da uno statico di tipo psicoanalitico. (Van Dusen 1970). Molti “professionisti” cominciano ad apprendere e condividere questi principi, si rendono conto che il “simbolo” non nasconde “un elemento separato ma è una rappresentazione attuale del momento manifesto” cioé il simbolo non nasce da un altro elemento e da un altro significato, ma é esso stesso l’elemento e il significato, perciò si manifesta per quello che é in tutta la sua interezza. Analogo discorso per il comportamento dell’uomo: é quello che si presenta, non c’é da interpretarlo, non esiste una relazione tra un effetto presente ed una causa passata, come concepito nella psicoanalisi. Causa ed effetto in una concezione fenomenologica non sono separati. Perciò il terapeuta di indirizzo esistenziale non ha bisogno del distacco tradizionale e delle interpretazioni. Terapeuta e paziente partecipano entrambi all’incontro, senza privilegio per l’uno o per l’altro. Il fattore terapeutico, quello che produce “guarigione” é l’esperienza che entrambi i partecipanti vivono (E. Polster 1970). Via via che il terapeuta esplora, lo stesso paziente esplora e si espande la sua consapevolezza. Il fenomeno che si alimenta é quello dell’autoscoperta. Ecco perché l’attenzione del terapeuta é rivolta al mondo esterno del soggetto, a quello che presenta.

La valutazione é su tutto il comportamento del paziente non solo sul contenuto ed il significato dei suol discorsi. I gesti, il tono della voce, il modo di vestire, lo sguardo, sono elementi che contano. Questo è parte di quello che Perls definisce l’ovvio in terapia. Dare attenzione all’ovvio, significa avvicinarsi al fenomeno nel momento del suo svolgimento, mentre accede. In questo modo il paziente viene riportato a vivere l’esperienza nel “qui ed ora”, anziché spinto indietro nel tempo nell’esplorazione della sua storia, come avviene nella psicoanalisi classica. Passato e futuro nella concezione esistenziale – fenomenologica sono già presenti o ancora presenti nell’ “essere nel mondo” del soggetto, “qui ed ora”. È in virtù di questa considerazioni secondo Van Dusen, che la Gestalt può essere considerata un’analisi esistenziale.

 

La psicologia esistenzialista 

I contributi della terapia della Gestalt provengono da più parti, come lo stesso Perls ha più volte affermato. Egli aveva una formazione psicoanalitica, ha seguito i corsi di Kurt Goldstein a Francoforte ricevendo una importante influenza dalla psicologia della Gestalt; é stato in analisi con W. Reich, dal quale ha preso l’attenzione per l’aspetto corporeo della terapia, ha vissuto ad Esalen nel periodo in cui la psicoterapia subiva l’influenza delle dottrine orientali, e si diffonfeva lo Yoga e lo Zen. Ognuno di questi aspetti meriterebbe un’analisi approfondita, vista la ricchezza dei messaggi contenuti nell’approccio terapeutico “inventato” da Perls.  Ma forse l’ispirazione più profonda e complessiva gli è venuta dell’esistenzialismo ed in particolare da un’area culturale che per anni ha alimentato e diffuso questo fenomeno. E’ per questo che si è pensato di passare brevemente in rassegna alcuni dei principi formulati dei più rappresentativi esponenti di questo movimento. Sicuramente tra tutti trovano una posizione di spicco Husserl e Heidegger che come affermano Rossi Monti e Vitale (Feltrinelli, 1980) sono stati gli ispiratori comuni di autori tra loro diversi e originali come Jaspers, Frankl, Binswanger, Laing. Gli autori sottolineano che la psicologia fenomenologico – esistenziale costituisce più un clima culturale, che un corpo unitario di dottrina. Tuttavia é possibile scoprire un punto di origine comune ai diversi autori citati. E’ un vasto movimento di reazione al positivismo che si é imposto alla cultura europea di fine ‘800. La psicologia sperimentale, secondo Husserl, appartenente alla tradizione scientifico naturale, non può “afferrare il senso degli atti di coscienza, cioé cosa significano per I’uomo esse” se non rapportato al mondo nel quale vive. In questa visione la realtà non esiste al di là del significato che le attribuisce il “soggetto pensante”. “Costituire” il mondo, non vuol dire crearlo dal nulla “ma osservare come le cose si formano”, per il soggetto che vive l’esperienza. Ecco perché la coscienza non può essere bloccata entro i confini di leggi, proprietà e regole di tipo scientifico. Il soggetto non é un “io puro” da studiare in laboratorio. Usando questo atteggiamento, la scienza ha perso contatto con il “mondo della vita”, con la “soggettività”. Studiare la “coscienza come oggetto naturalistico” ha travisato ricordare che la comprensione dell’uomo. Bisogna riconoscere che la scienza, con tutti i suoi mariti, ha valore strumentale e quindi é un mezzo per conoscere il mondo, ma non é in sé sufficiente. Esiste una realtà delle cose che può essere persa dietro la macchina della scienza. Il discorso é soprattutto valido per la psicologia che, l’autore auspica, deve uscire dalla “strettorie dell’oggettivismo” per dirigersi verso la riscoperta della “soggettività trascendentale” verso “le cose stesse”. Ma il “soggetto” dice Heidegger è nel mondo e in questa sua esistenza “tra le cose” trova la sua autenticità. Non é concepibile un “soggetto puro”, distaccato dal mondo, come concepito dalla concezione trascendentalistica tradizionale. Il superamento della realtà presente, per l’autore, é entrare nella sfera delle “possibilità”, non allontanarsi dalla concretezza dell’esistenza per andare in una dimensione astratta. Non ci sono modelli “permanenti o immobili” che trascendono e precedono la vita dell’uomo.

Quindi l’esistenza dell’uomo é l’equivalente di un “poter essere”. Invece l’uomo vive un’esistenza inautentica. Trova un mondo già pronto ed egli non deve fare altro che “accettare il senso comune”, con il vantaggio di doversi impegnare nella ricerca di nuove risposte. C’é un sistema precostituito che stabilisce la “situazione emotiva” e che indica “che cosa si vede” e “come si vedono le cose” (Rossi Monti – Vitale 1980). Il discorso di Heidegger si trova in sintonia con la concezione di Perls sulla introiezione e la mancanza di autoappoggio. Quello introiettivo è il sistema abituale usato dalla società per trasmettere valori , modelli e comportamenti già costituiti, ed il suo risultato é che l’individuo non é aperto alle “scoperte” che altrimenti potrebbe fare grazie alle sue potenzialità e attitudini naturali. In questo modo si accontenta di vivere una esistenza misera, emotivamente povera e senza sviluppare a pieno le sue “possibilità”.  Anche il discorso sul linguaggio, proposto da Heidegger é condiviso dalla Gestalt. Il linguaggio, secondo il filosofo permette di entrare profondamente nel senso dell’esistenza ma non va inteso come rivelatore di un “mero” contenuto biografico, come fa la psicoanalisi. Esso è molto più ricco e pertanto l’attenzione va rivolta ad ogni aspetto del contenuto anche non verale, ad ogni forma di espressione. Il terapeuta esistenzialista é pronto a cogliere ogni messaggio del paziente, non solo quello che é contenuto nelle parole, ma anche quello che appare dai gesti, dalle espressioni del viso, dal tono della voce. L’altro, il paziente, non è un oggetto di osservazione, ma un essere umano che sta sperimentando e costruendo un mondo (Longanesi 1976). Il rischio lamentato dagli esistenzialisti in generale é di perdersi dietro a “formule e categorie”, fino a non accorgersi della effettiva presenza dell’altro, sottolinea R. May. Il soffermarsi sul “come e perché” è sorto un problema, é un modo per capire ogni cosa, “tranne la cosa più importante: la persona esistente”. (Arieti vol. III pag. 1647-1970). Il discorso potrebbe essere sottoscritto da F. Perls. Ritornando a Heidegger, l’uomo ha la possibilità partendo dalla sua originaria condizione di inautenticità , di raggiungere e “dar vita…” ad un progetto di mondo autonomo e consapevole. Può farlo divenendo parte attiva del suo progetto di esistenza, andando alla natura ed all’essenza dell’esperienza. Qui potrà assumere la consapevolezza della necessità della morte e quindi sarà in contatto con la irreversibilità e irrepetibilità della sua esperienza. Il senso della vita include il fatto che non é possibile tornare indietro. K.Jaspers ( 1964), in linea con gli autori citati, é interessato a quello che vivono gli esseri umani ed alle loro esperienze. Anche lui ritiene che il discorso sull’uomo non si esaurisce nei concetti psicologici, data la sua “totalità inscindibile” e la molteplicità dei suoi aspetti che lo rendono un “infinito inesauribile”. Egli stabilisce una netta differenza tra “comprendere” e “spiegare”, così come farà successivamente Perls.

Da questa distinzione viene il suo interesse a rendere presenti gli stati di animo, le esperienze psichiche ed i vissuti del paziente. Per ottenere questo il terapeuta dovrà immedesimarsi nell’altro partecipando con lui all’esperienza in una forma di “calda comprensione”. Scoprendo le analogie tra i propri vissuti e quelli del paziente potrà aiutare quest’ultimo. Quando si usano schemi teorici per inquadrare un paziente, si scopre solo quello che si voleva vedere e si perde di vista “l’essenziale” sottolinea Binswanger Rossi Monti -Vitale 1980)- In “La politica dell’esperienza” (1968), Laing afferma “non abbiamo bisogno di teoria” ma dell’esperienza, perché le teorie provengono dall’esperienza. Egli é alla ricerca della integrità dell’uomo che a suo parere si perde nel costante ricorso all’intelletto e alla conoscenza scientifica. Per assurdo la stessa esperienza schizofrenica “prelude ad una rinascita della esistenza”. E’ l’ultimo disperato tentativo che fa l’individuo per incontrare l’essere. Nella sua opera”L ‘Io diviso” (1980), Laing riprende il discorso e sottolinea che l’intelletto strumento principale delle scienze naturali è fatto per la “comprensione delle parti, non del tutto”.  L’intelletto pietrifica e immobilizza. Il rischio é di ridurre il rapporto con l’altro ad un’indagine su una “cosa” e non ad un incontro tra esseri umani. “Non é imparzialità vedere un sorriso come una contrazione dello sfintere orale” o considerare un quartetto che suona Beethoven “gli intestini di un gatto strofinati con la coda di un cavallo”. Biswanger ( op. cit. ) ritiene che la fenomenologia esistenziale permette di annullare la aberrante scissione, voluta dalla scienza, tra soggetto ed oggetto, il che significa tra uomo e ambiente. Nella sua “antropoanalisi” perde senso qualsiasi distinzione tra sano e malato: questi sono due possibili modi di esser nel mondo. Il sintomo allora diviene una “chiave”, un modo fornito dal paziente stesso per permettere l’accesso nel suo mondo, nel suo progetto esistenziale. In questa ottica non esiste il comprensibile e l’incomprensibile, il normale e l’anormale, categorie appartenenti ad un modo “scientifico” di concepire la condizione umana. Ogni paziente, come ogni uomo, ha un suo particolare modo di “essere nel mondo”.

 

Capitolo secondo

L’autoappoggio

Introduzione

Il concetto di autoappoggio costituisce uno dei punti centrali della psicoterapia della Gestalt. L’intero complesso teorico e le tecniche terapeutiche elaborate da Perls e dai suoi successori, hanno come costante punto di riferimento e come progetto finale della terapia il raggiungimento dell’auto-appoggio. Questo significa conquistare la capacità di affrontare l’esistenza senza poggiarsi completamente sul mondo esterno, sull’ambiente, e quindi scoprire dentro di sé: possibilità, mezzi e sostegni da usare in quelle situazioni in cui l’appoggio ambientale non solo non é necessario , ma addirittura diventa deleterio per una piena realizzazione del potenziale naturale dell’uomo. L’uomo é pieno di capacità innate che gli permettono di affrontare la realtà della vita, dice Simkim (Scilligo 1981). Ma il mondo esterno, e primi tra tutti i genitori rappresentanti della società, gli impartiscono una serie di norme di comportamento, di precetti, di idee su ciò che è giusto e ciò che non lo è, sicchè l’individuo, accanto a quei messaggi che sono importanti per la sua sopravvivenza ne prende dentro di sé altri, e sono i più, che non gli sono affatto necessari e neanche sentiti. In questo modo l’uomo riduce la sua capacità di scelta ed arriva alla mancanza di “autoaccettazione” ed alla “autofiducia”, In definitiva l’individuo “apprende” a non fidarsi più di se stesso delle proprie forze e inclinazioni; “apprende” a perdere l’autoappoggio. Sullo stesso tema e con termini più forti Perls afferma che l’uomo si é “desensibilizzato”. (Perls 1970) Prova emozioni ad un livello molto ridotto e per conseguenza ha perso la libertà di scelta , condizione necessaria per il coinvolgimento e la preparazione all’azione autonoma, un’azione cioè che abbia peso e rilevanza per la sua esistenza. Non avendo la libertà di scelta non é in grado di essere “autosufficiente”. Quindi, scopo della terapia è quello di fornire il paziente di uno strumento, appunto l’autoappoggio, idoneo per risolvere le proprie difficoltà.

 

L’ambiente e il bambino

L’infanzia é piena di ogni tipo di interruzioni, ordini, comandi, ingiunzioni, interferiscono con i bisogni del bambino. Attraverso la società, di generazione in generazione, vengono inculcati comportamenti e norme da adottare nelle più svariate situazioni della vita. Spesso quello che si impara ha poca relazione con i bisogni biologici e perciò la natura dell’uomo ne risente in maniera distruttiva. Il risultato secondo Perls é la “degenerazione”. L’atteggiamento estremamente restrittivo nei confronti della sessualità costituisce l’esempio classico. Per l’autore citato se i processi naturali potessero svilupparsi liberamente l’uomo potrebbe avere una crescita piena e completa, troverebbe in sé l’appoggio che viceversa cerca nell’ambiente. Da quest’ultimo proviene gran parte della responsabilità per il cattivo sviluppo dell’uomo.

Ma ci sono delle precisioni da fare. Per Perls, permettere lo sviluppo dell’autoappoggio al bambino, non significa seguire la politica della totale non interruzione. Se è vero che il bambino ha bisogno di conoscere, di fare esperienze e quindi di spingersi il più lontano possibile nella sua ricerca, é altrettanto vero che non gli giova una completa libertà di azione. E’ evidente che il bambino non deve danneggiare se stesso e gli altri. Le interruzioni, nelle sue spinte a volere tutto, a soddisfare ogni suo capriccio sono necessarie proprio per la sua integrità. Deve imparare a tollerare l’interruzione e la conseguente frustrazione. Il discorso sulla frustrazione ha un peso determinante nell’approccio gestaltico e viene considerato come uno dei fattori fondamentali dello sviluppo e della crescita. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la frustrazione, quando naturalmente è compensata da gratificazione, determina autoappoggio, perchè il bambino impara a responsabilizzarsi nelle proprie azioni o ad assumere comportamenti consapevoli. Impara quando é necessario e può entrare in contatto con il mondo esterno e viceversa quando può o deve ritirarsi in sé. Secondo Perls (1980) se non vi é frustrazione il bambino non ha bisogno di “mobilitare le proprie risorse” e non apprende che può fare delle cose da solo . Per evitare l’esperienza dolorosa della frustrazione impara a manipolare l’ambiente. Ma proprio quando viene viziato e non interrotto se necessario, entra in uno stato di confusione. Le sue capacità naturali e potenziali che ha per crescere, vengono usate per manipolare i genitori e l’ambiente . Cerca sostegno all’esterno e l’ottiene scoprendo i punti deboli degli altri. Sviluppa le sue capacità manipolatorie: “Che faccio”?” “Mammina non so che fare”. E se non ottiene quello che vuole recita la parte del bambino piagnucolone.

 

I modelli

Il problema della mancanza di autoappoggio è strettamente connesso alla posizione dei genitori, i quali per loro limiti, ansie, preoccupazioni, non sono in grado o meglio non vogliono esercitare il loro ruolo di guida. Esagerano nell’uno o nell’altro senso: viziando o interrompendo ogni attività del figlio. Come conseguenza di questo atteggiamento, pauroso, timido, poco responsabile dei genitori, il bambino non sarà in grado di costruirsi una capacità interna di appoggio. Infatti, determinato dall’incapacità dei genitori di assumersi la responsabilità di adottare l’una o l’altra via educativa, secondo la necessità del momento e della situazione, egli stesso non sarà in grado di riconoscere i propri bisogni e di comportarsi in maniera conseguenziale. Finisce con il non esercitare la propria capacità di scelta e segue pedissequamente i comportamenti impostigli. Il risultato é che si adegua al conformismo. Impara una serie di risposte fisse per essere accettato. Al posto del bisogno privilegia lo sviluppo intellettuale, cioé impara a “calcolare” il suo comportamento per non essere rifiutato e quindi le sue risposte all’ambiente diventano fisse. Capisce ben presto che se vuole vivere deve rispondere ai “devo” che vengono dal mondo esterno, dalla struttura sociale. Questo gli comporta la rinunzia e desideri, sentimenti, emozioni, cioé alla parte più vitale di sé . “C’era una volta in cui eravamo nani ” dice Barrie Simmons. (Riza 1984) “Ed essendo piccolissimi eravamo incapaci di sostenerci, di badare da soli a due grossi bisogni che avevamo: sopravvivenza e crescita“. “Vivevamo circondati da giganti a cui dovevamo chiedere o da cui dovevamo ottenere aiuto” per soddisfare i nostri bisogni. Questo porta il bambino alla profonda comprensione che l’esistenza dipende dagli altri. Di qui deriva un modo di sopravvivenza e di crescita che può essere definito “dipendenza”. L’uomo comincia ad accettare e ad introiettare il modello offerto dall’interno , salvo scoprire un giorno che é infelice.

 

Potenzialità e ambiente

Quanto più la società esige, quanto maggiori sono le richieste che avanza, tanto più l’individuo si impoverisce e perde le sue enormi capacità di funzionamento. Oggi l’uomo usa dal 10 al 25 percento delle sue potenzialità. Scopo della terapia é di accrescere il patrimonio così drammaticamente sacrificato attraverso la promozione ed il sostegno di interessi umani autentici (Scilligo 1981). Questa concezione di Perls e della Gestalt in generale é in linea con altri approcci all’interno del movimento della psicologia umanistica. Un esempio viene da Shultz, il quale, tra l’altro ha condiviso con Perls le esperienze di Esalen durante gli anni 60. Questo autore, nel suo libro “La gioia”, introduce il discorso descrivendo un bambino alla nascita. In particolare fa riferimento alla nascita di suo figlio. Nei primi giorni di esistenza la sua vita é piena, completa. Quando gioisce é completamente gioioso, e quando soffre lo fa con tutto il suo essere. Le sensazioni che riceve lo riempiono: egli é tutto piacere fisico; é felice e dona felicità. Ma via via che cresce la sua ricchezza, il suo potenziale viene ridotto. Qualcosa avviene nell’ambiente che lo contamina. La sua gioia svanisce e non ritornerà più a tanta pienezza. Questo accade per una serie di motivi che provengono dai metodi educativi, dall’atteggiamento verso il sesso, dai dogmi religiosi, dalla confusione tra ciò che é mascolinità e quello che è femminilità. In conclusione la causa é costituita da un insieme di fatti che rendono difficle all’individuo di conoscersi e di apprezzarsi. Gli impediscono di entrare in contatto e rispettare i suoi veri sentimenti e desideri (Shutz 1969).

 

Maturità spontaneità e deliberazione

Via via che il discorso prosegue si profila sempre più evidente il concetto di fondo che caratterizza la psicoterapia della Gestalt. L’individuo anziché crescere ed evolversi secondo le sue naturali linee di sviluppo, trovando in se stesso le forze e gli strumenti necessari per la sua crescita si appoggia su situazioni di comodo già offertegli dal mondo esterno, che se valide quando da piccolo non aveva capacità sufficienti per dirigersi autonomamente nel mondo, costituiscono un inutile peso ed un grave fardello per la vita dell’adulto. Questi non é più capace di cercare alternative, di operare scelte, di soddisfare i propri bisogni reali. Ma c’é una grande differenza tra “l’attualizzazione di sé” e “l’attualizzazione di un concetto” (Scilligo 1981). Chi segue i comportamenti appresi, accettati con violenza su se stesso, mediante processi introiettivi, certamente non facilita la propria crescita “reale”. Al massimo realizza un “concetto”. Una idea che forzatamente si é fatto di Sé e di come dovrebbe essere la propria vita. In questo modo non si arriva alla maturazione. Quello di maturazione è un concetto molto importante per Perls, ed é strettamente legato all’idea che ha l’autore circa l’apprendimento. Apprendere significa “scoprire” (Perls 1980), non imparare ripetendo esercizi continui o esperienze routinarie che rendono l’individuo un automa. Finché s’imparano concetti e si inseriscono informazioni nel “computer” non c’é apprendimento. Finché si tratta l’uomo come una macchina in cui inserire informazioni, non c’é possibilità di sperimentare e quindi di“imparare davvero”. Imparare vuol dire essere in possesso dei propri sensi, esercitare la capacità di vedere, di sentire, e così via. “Al bambino potete dire mille volte che la stufa brucia, non serve a nulla”. “Deve scoprirlo da solo, bruciandosi”. Questa è l’unica possibilità di crescita e di maturazione: “scoprire”. Sotto questa ottica maturità non é un punto di arrivo e quindi uno stato dal quale non si può più evolvere, come secondo Perls pensava Freud. Al contrario vi é una continua possibilità di crescita ed il problema é scoprire cosa impedisce questo processo di “andare avanti”, cosa é che riduce l’adulto a livelli di maturità a volte più bassi di quelli del bambino. Cosa determina ” la nevrosi ” o quello che a parere di Perls più esattamente dovrebbe chiamarsi “l’arresto dello sviluppo”. Alla base di tutto vi è una mancanza di autappoggio cioé la incapacità di sfruttare le proprie capacità interne. L’abitudine dell’uomo é quella di atteggiarsi a bambino, a prendere atteggiamenti infantili per manipolare l’ambiente. Non conosce la differenza tra essere adulto e recitare a fare l’adulto. Ma maturazione é “trascendenza dal sostegno ambientale all’autosostegno”. Il bambino appena nasce si trova di fronte ad una “impasse”. Non sa respirare e deve imparare a farlo se vuole sopravvivere. All’inizio lo aiuta lo ” sculaccione ” del medico, poi deve farlo da solo. Allo stesso modo impara a comunicare: il suo primo mezzo é piangere. Poi impara a strisciare, per arrivare successivamente a camminare, e via via che scopre che può fare sempre di più utilizzando muscoli, sensi , intelligenza. Questo é un processo di maturazione, ed é un processo per arrivare all’autoappoggio. Ma lo sviluppo naturale, come si é visto, é stato influenzato e variamente interrotto dall’ambiente. Si sono prodotti due processi: “La paralisi di alcuni atteggiamenti e lo sviluppo artificiale di altri”. La personalità “spontanea” viene sostituita da una “deliberata”. Proprio da questo contrasto tra spontaneità e deliberazione, cioè dal conflitto tra i processi naturali e quelli ambientali, nasce il disagio e la sofferenza. Soltanto la loro integrazione può produrre guarigione e portare al livello più alto che Perls definisce “autorealizzazione” (Scilligo 1981).

 

Appoggio ambientale

Secondo Simkim, Perls nel suo discorso, peraltro fondamentale sull’autosostegno, esagera nello spingere l’individuo a reggersi “sulle proprie gambe” o meglio sull’enfasi che mette a riguardo. Quasi sembrerebbe che l’uomo non ha diritto a riferirsi alle risorse ambientali. Il sostegno in sé non va cercato sempre ed in ogni caso. Spesso, sottolinea l’autore é necessario e va bene appoggiarsi all’ambiente. Il punto è come farlo. Anche Perls, secondo Simkim, negli ultimi anni della sua vita era su posizioni più morbide. Ricorda come il “maestro” sognava un Kibbutz in cui ognuno condividesse le responsabilità e fosse interdipendente con gli altri (Simkim 1978). Forse quest’atteggiamento che Simkim rileva in Perls vecchio era già presente nel fondatore della Gestalt. L’idea che l’autosostegno dovesse avere una posizione di equilibrio risulta in vari punti della sua opera. “C’é una grandissima differenza tra il pianto angosciato del bambino cui la madre risponde automaticamente, e gli strilli egocentrici del “marmocchio viziato”. Non c’é alcun male, dice Perls, nel cercare attenzione. Colui che sta annegando e grida aiuto, sta chiedendo attenzione. Ma c’é una differenza sostanziale tra una situazione reale di bisogno, nella quale é legittimo chiedere appoggio, e la situazione di simulazione del “marmocchio” che manipola ma non comunica il suo bisogno reale. Perls è contro gli atteggiamenti “come se” non contro le “espressioni genuine”. Il bambino che grida, l’uomo che annega, reclamano e chiedono attenzione per qualcosa per cui realmente non hanno autoappoggio (Perls 1977). D’altra parte è vero che tutti coloro che iniziano un dlscorso nuovo, che vogllono convincere il mondo di una propria idea, tendono a formulare teorie in termini estremisti. Questo serve per creare impatto e sconvolgere gli equilibri prestabiliti. E’ significativo quanto riferisce Binswanger (1973) su un suo incontro con Freud; in quell’occasione Freud ed il fondatore della “Daseinsanalyse” parlavano di religione e Freud disse: “L’umanità ha sempre saputo fin troppo bene di avere uno spirito, era necessario che io le mostrassi che esistono anche gli istinti”. Il discorso riferito a Perls potrebbe essere così tradotto “L’uomo é così abituato a non fidarsi delle proprie capacità che é necessario che sappia che può fare tutto da solo”. Naturalmente questo non é vero. Ritornando a Simkim, la sua idea é che non é necessario fare le cose da soli, e neanche serve.

Quello che importa é che l’individuo impari a trovare, a sperimentare le proprie possibilità per conoscere i suoi limiti. Dopo aver sperimentato e nel caso riesca ad avere risultati positivi. Ha la possibilità di scegliere se continuare a fare da solo o se chiedere aiuto e sostegno al mondo esterno. L’autore riporta un esempio riferito alla propria esperienza personale. Per anni, dice, non aveva mai cambiato una ruota alla macchina. Altri lo facevano per lui. Un giorno però si é trovato nella condizione di farlo da solo e ci é riuscito. Ma la cosa non gli é piaciuta. Ora si trova nella posizione di chi sa cambiare la ruota se necessario, ma deliberatamente e quindi consapevole di quello che vuole, decide di farlo fare ad altri, perché non gli piace.

Questo é autoappoggio. Scoprendo “cosa posso fare, cosa non posso fare, ho molte più possibilità, più strade aperte”. Ma non é detto che bisogna percorrerle tutte fino in fondo. Tuttavia, ottenere successo su qualcosa di inaspettato dà fiducia e piacere, accresce la potenzialità dell’uomo. Il discorso di Simkim é essenzialmente riferito alla ricerca di una situazione di equilibrio tra sé e l’ambiente: “Trovare qualche sorta di equilibrio tra autosostegno e sostegno ambientale”. Questo equilibrio é qualcosa di indefinito e cambia da persona a persona. Deve essere cercato da ciascuno attraverso una costante sperimentazione momento per momento, agendo nella realtà con azioni concrete e non fantasticandoci sopra (Simkim 1978). In linea con questo autore é Robert Resnick (Scilligo 1981) il quale non ritiene che l’individuo debba fare a meno del sostegno ambientale. Bisogna però distinguere tra il “non potere” ed il “non volere”. Chiedere aiuto all’ambiente, magari anche manipolando, ma sapendo che si sta facendo, è diverso dal lasciarsi andare e dal non sperimentare. Nel primo caso l’individuo è ancora autonomo perché pur essendo in grado di sostenersi da solo; sceglie di non fare. Secondo l’autore anche la manipolazione se cosciente, costituisce un autoappoggio. L’importante per la Gestalt, secondo Resnick è permettere al paziente di scoprire “che può farcela da solo”.

 

Organismo e attualizzazione

L’organismo possiede in sé capacità illimitate che lo dirigono verso la sua realizzazione. Entrare in contatto con questo, scoprire che l’uomo segue un processo evolutivo che lo porta ad un continuo arricchimento di sé, fa parte del processo di crescita e di maturazione (Simkim 1978). Goldstein, del quale Perls aveva seguito l’insegnamento, considerava “l’autoattualizzazione” il solo movente che l’organismo possiede. I diversi impulsi, fame, sesso, potenza…sono delle manipolazioni dello “scopo principale della vita” che si dirige verso la propria realizzazione. “L’autoattualizzazione costituisce la tendenza creativa della natura umana, ed il principio organico per cui l’organismo si sviluppa più pienamente e compiutamente”. (Hall-Lindzey 1976). In linea con questo discorso é C. Rogers (1970). Egli considera la vita come un processo attivo e non passivo. Rogers riporta quanto affermato da Bertanlaffy: “tutte le parti e tutti i processi sono ordinati in modo da garantire la conservazione, la costruzione e la continuità dei sistemi organici”. Da queste posizioni Rogers formula la sua teoria della personalità, alla cui base pone il principio della “tendenza attualizzante”. Questo vuol dire sviluppo verso “l’autonomia”, cioè uno stato diverso dalla “Eteronomia risultante dalla sottomissione a forze esterne”. Come dimostrato in biologia, la cellula, se lasciata vivere, si sviluppa in una larva completa di riccio.

L’essere umano, riferisce Rogers, dalle esperienze di psicoterapia mostra una tendenza verso il completamento e l’attualizzazione delle proprie potenzialità. “Quindi l’organismo umano si dirige verso la propria conservazione e verso il proprio miglioramento”. Infatti la “tendenza attualizzante” ha in sé un positivo e porta per questo a processi costruttivi. La concezione di Rogers della Gestalt sui punti esaminati sono in armonia. Sullo stesso fondamento della “tendenza attualizzante”, Perls basa il concetto di autosostegno. “L’uomo viene considerato come un organismo completo che funziona come un tutto… L’organismo possiede fin dalla nascita la capacità di far fronte alla vita”, afferma Simkim (1978). Dichiara di non accettare la concezione che egli definisce: “la teoria dello sviluppo umano del peccato originale” secondo la quale l’individuo, o meglio l’organismo, per sopravvivere ed arrivare alla civilizzazione deve reprimere gli istitnti. Il riferimento a Freud é evidente. L’organismo,  continua Simkim , citando Yontef, ha dei bisogni che producono un comportamento sensorio-motorio. Quando i bisogni vengono soddisfatti si chiude una Gestalt. La Gestalt completata smette di influenzare l’organismo e questo si muove verso nuove soddisfazioni. Con questo processo l’organismo manifesta la propria vitalità e procede verso la crescita e lo sviluppo. Quando il meccanismo naturale viene disturbato, l’armonia ed il “flusso e riflesso continuo tra organismo e ambiente” viene interrotto . La situazione anziché cambiare e procedere verso lo sviluppo, diventa statica e rigida. L’interferenza dell’ambiente blocca la naturale espressione del bisogno, porta ad una riduzione dell’autonomia e quindi alla insoddisfazione delle reali necessità, in virtù di una pretesa sociale di repressione dei bisogni naturali (Simkim 1978).

 

Principio di realtà e creatività

In “Teoria e pratica della terapia della Gestalt” (1971), Perls afferma che finalmente la psicoterapia si è resa conto ed ha scoperto l’autoregolazione dell’organismo. Questo principio é fondamentale. Da esso ne discende che gli impulsi non hanno bisogno di essere regolati e diretti, perché l’organismo ha una sua capacità intrinseca di regolare gli equilibri. Una sifatta convinzione pone Perls in una visione assolutamente positiva dell’uomo. Vi sono enormi possibilità che provengono da questa attitudine. “Le funzioni dell’anima” come Perls le definisce, ivi compresa, la cultura, l’apprendimento, l’aggressività ed il libero gioco della allucinazione, se vengono lasciate libere nel loro contatto con la realtà, tendono a trovare da sole una situazione di equilibrio. Perls si avvicina alla filosofia orientale, segue il vecchio principio del Tao che dice: “Lasciate la strada libera”. Per contro, con il “Principio di realtà” si dà valore immutabile ai principi introiettati, i quali costituiscono la base ed il fondamento del “principio di realtà”. Senza di esso, secondo Freud, non vi é possibilità di adattamento all’ambiente: e quindi é considerato elemento importantissimo dello sviluppo e della crescita dell’uomo. Secondo Perls non é altro che una pedissequa imitazione di principi non digeriti. Una terapia che si fonda sul principio di realtà, non sollecita la naturale creatività dell’individuo, il quale soltanto nella sua libertà intrinseca, mediante la sua naturale intuitività, può scoprire gli elementi che lo caratterizzano e lo differenziano da ciascun altro. Solo dentro di sé può trovare le caratteristiche che lo rendono “unico tra i simili” e gli permettono di condurre una esistenza sua, del tutto personale ed originale, differenziata ed autonoma. In questo discorso va inserita la differenza che Perls riscontra tra “intuizione e intelletto”. La prima é atto creativo, è vera intelligenza. Invece affidarsi all’intelletto vuol dire riferirsi ad apprendimenti e schemi precostituiti. L’intelletto non raggiunge la vera intelligenza anzi la umilia (Perle 1971). E’ evidente che un uomo il quale preferisce scegliere il contatto con se stesso e con le sue capacità e bisogni naturali, ha una possibilità di crescita molto più elevata di chi approfitta di quanto gli altri hanno già scoperto per lui.

 

Bisogno e attualizzazione

Al discorso sull’intuizione e la creatività è collegata la teoria del bisogno. L’organismo umano consiste in migliaia di processi, i quali chiedono un interscambio con il mondo esterno. L’organismo è strettamente collegato con l’ambiente ed in esso c’è il cibo. L’organismo ne ha bisogno, lo vuole far diventare suo: cioè vuole assimilarlo. Mette in atto un processo di metabolizzazione che consiste in un consumo di energie il cui risultato finale é quello di integrare l’elemento interno con quello esterno. Ciò avviene quando un processo segue linee naturali e quando la scelta è libera. Ma se il “cibo” non piace, il discorso cambia; non c’é assimilazione e quindi non c’è sviluppo. L’organismo blocca la sua evoluzione naturale (Simkin 1978). La conclusione è che “la formazione delle Gestalt”, cioè l’emergere dei bisogni è  un fenomeno principalmente “biologico” e quindi non governato da scelte intellettuali. Secondo Perls (1970) “dal punto di vista della sopravvivenza la situazione più urgente ha di volta in volta la funzione di controllore, di direttore”. L’autore riporta un esempio molto chiaro: se una persona fugge perché c’é un incendio, dopo un pò può restare senza ossigeno e perciò non tollera uno sforzo ulteriore. A quel punto il bisogno cambia. Il pericolo del fuoco passa in secondo piano, sullo sfondo, come si dice in termini gestaltici, perché ora il bisogno più urgente é di recuperare ossigeno per respirare. Quindi l’organismo ha una sua predisposizione naturale all’autoregolazione “come opposto alla regolazione esterna” (Simkim 1978). Cioé l’organismo é in grado da solo di prendersi cura di sé senza interferenze. L’unica cosa da fare é essere consapevole dei bisogni reali che di volta in volta emergono. I bisogni sono Gestalt aperte che devono essere chiuse. Finché non lo sono reclamano soddisfazione, anche se la persona non ne è più consapevole. Se l’organismo è “sveglio” é in grado di sentirsi e percepirsi, sa come soddisfare il bisogno e quindi come chiudere la Gestalt aperta. In questo processo è in grado di regolarsi da solo, senza l’appoggio e il consiglio di nessuno. L’organismo in sé è saggio. Ma questo funzionamento in sé perfetto, é turbato dall’intera “patologia dell’automanipolazione, del controllo dell’ambiente e così via”.  L’individuo finisce col farsi una immagine di come “si dovrebbe” e “non si dovrebbe” essere nel mondo e quindi i suoi bisogni reali diventano oscuri. Non agisce più in base a come ” vuole” ma in base a come “deve”. L’uomo integrato, cioé l’uomo con autosostegno, secondo Perls, è l’ “esistenziale: quella persona che si accetta per come é e vede il mondo come è”. Quando va contro questo modo di essere e contro la sua naturale inclinazione, perde l’autoappoggio e quindi la capacità di una crescita autonoma e soddisfacente.