La terapia in azione (parte 2): Enneagramma e copione
Pubblicato in: Qui e ora, Rivista di Gestalt – Anno II/III – n. 4/5 – Cagliari, 1994.
“La diagnosi dei tipi caratteriali e gli aspetti cognitivi della teoria psicologica degli Enneatipi in relazione ai sistemi di psicoterapia della Gestalt e Analisi Transazionale offrono un naturale ausilio per individuare patologie, strumenti di approccio al paziente, problematiche transferali e controtransferali.”
Ho iniziato una ricerca più accurata sull’Enneagramma e sugli aspetti cognitivi dei tipi caratteriali quando Claudio Naranio mi invitò a farne una presentazione al primo Simposio Internazionale sull’ Enneagramma che si è tenuto ad Alicante nel dicembre 1993. Il mio interesse era già da tempo focallizzato sulla possibilità di utilizzare la teoria del Copione dell’Analisi Transazionale per una migliore comprensione e applicazione terapeutica di quelle che nella psicologia degli Enneatipi, chiamiamo le ‘fissazioni’, cioe i nuclei cognitivi che formano la struttura di ciascuno dei nove tipi caratteriali. Questo articolo è ricavato da uno stralcio di quella ricerca, che tutt’ora sto portando avanti. Già nel numero precedente di questa rivista ho riportato un esempio di seduta con un tipo completamente diverso di carattere, il tipo due, corrispondente al carattere “Orgoglio”. ln quella sede non ho fatto specifico riferimento all”Enneagramma. Questa volta mi sono prefisso di mettere in relazione gli aspetti cognitivi della teoria dell’Enneagramma con i sistemi di psicoterapia che maggiormente utilizzo: Gestalt e Analisi Transazionale. Ritengo infatti che la diagnosi dei tipi caratteriali offra un notevole ausilio per individuare patologie, strumenti di approccio al paziente, problematiche transferali e controtranferali.
In particolare vengono focalizzate, attraverso un breve esempio di seduta, le caratteristiche peculiari di quello che nella psicologia degli Enneatipi viene considerato il nucleo cognitivo che è alla base della formazione del carattere. Oscar lchazo, colui che trasmise questa conoscenza a Claudio Naranio, lo definì “fissazione”, con un termine che corrisponde alla nomenclatura freudiana e che però esprime un concetto diverso per natura ed implicazioni da quello concepito nella tradizione psicoanalitica. ll termine “fissazione”, nella teoria dell’ Enneagramma, sta ad indicare la ripetitività di modelli di comportamento che risalgono a schemi appresi nella prima infanzia. Questa concezione è facilmente integrabile con la teoria berniana del Copione. Il modello seguito nella seduta è ispirato, per l’appunto, all’analisi del Copione proveniente dalla teoria dell’Analisi Transazionale, anche se costantemente sono presenti l’attitudine e la concezione gestaltica. Il paziente, che chiameremo A. , è stato diagnosticato come tipo cinque, con un carattere che si manifesta attraverso la ‘passione’ del tipo ‘Avarizia’ e la ‘fissazione’ del tipo “Isolamento”. Il principale meccanismo difensivo è la scissione.
LA SEDUTA
Entra come al solito pronunciando un sommesso ‘salve’: dritto, filiforme, il volto pallido. Alle prime domande si schermisce: niente di nuovo. I lunghi silenzi sono interrotti di tanto in tanto da una risatina trattenuta con la quale sembra mostrare piacere per le piccole provocazioni che faccio, ironizzando sulla sua chiusura. Così gli è più facile la relazione, il coinvolgimento emotivo è poco ed il contatto viene vissuto come meno pericoloso. Si permette gradualmente di uscire dal suo isolamento. Adotto con lui una modalità ‘rilassata’ di lavoro. A tratti mi alzo sfoglio qualcosa o giocherello con penne e matite. Con minore attenzione ‘addosso’ sembra sentirsi più disponibile a parlare. Nella sua storia ci sono esperienze di droga delle quali non si pente, anzi “Fortunatamente”, dice, “ho potuto rifugiarmi nel fumo, lì era come un`oasi, così mi sono salvato”. Mi dice, come già altre volte ha fatto, che sta digiunando per smaltire una pesantezza di stomaco che lo “ossessiona”. “Anche se sono pieno, continuo a mangiare fino a scoppiare. Poi sento pesantezza di stomaco”. Gli chiedo di esplorare di più questo comportamento. “ln effetti cerco la pienezza”, dice, “come se avessi paura di avere lo stomaco vuoto”.
T: – Descrivi di più la tua paura.-
La descrizione facilita l’emergere della consapevolezza. È una libera associazione focalizzata.
P: – È angoscia, forse mi ricorda l’allattamento, quando mamma mi allattava vomitavo e così avevo sempre lo stomaco vuoto. –
Scelgo di restare nel qui e ora e non rispondo all’invito che mi offre per una suggestiva esplorazione nel passato.
T: – A cosa ti serve, oggi, mangiare molto? –
P: – Mangiando molto mi voglio tranquillizzare, non voglio sentire di avere un bisogno impellente. –
T: – Fai la scorta.-
P: Non risponde, sembra assorto, come stesse seguendo qualcosa che sta per emergere.
T: – Con cosa sei in contatto? –
Con la domanda tendo a favorire l’emergere del vissuto attuale.
Seguo il processo.
P: – Mi emoziono a dire… –
Gli occhi sono arrossati, ora piange sommessamente. È un momento importante. Ha sempre evitato di vivere emozioni. ll lavoro terapeutico con lui si è svolto soprattutto attraverso il canale cognitivo.
ln questo modo ha sempre avuto la sensazione di poter controllare l’esperienza terapeutica. ll ‘capire’ gli dà fiducia.
T: Lo lascio per un po’ nella sua esperienza e poi: – Cosa stai provando?-
P: – Questa emozione. –
Non risponde allo stimolo. Evita l’invito ad un maggior contatto.
T: – Che tipo di emozione?-
P: – È uno stimolo a piangere
T: – Per cosa vuoi piangere? Deve essere tanto tempo che trattieni questo pianto –
P: Si muove, cerca una postura più dritta aggiustandosi sulla sedia.
T: – Con cosa sei in contatto ora ? –
P: – Ora sto un po’ meglio. –
T: – Ah sì? A me sembra che stai peggio, sei riuscito ancora a seppellire il tuo pianto. –
Ironizzo, sorridendo, per ridimensionare la sua paura di un maggiore coinvolgimento emotivo. Nello stesso tempo gli suggerisco che quella è la strada che prima o poi dovrà percorrere.
P: Accetta la mia confrontazione e sorride leggermente, sa che è così.
Ora ha ripreso il controllo, insistere su questo primo diventa inutile, le difese hanno preso il sopravvento. Ritengo più efficace cambiare direzione e ritornare agli aspetti cognitivi, lavorando sul come ha imparato a trattenere il suo pianto e quindi sulle introiezioni con le quali ancora si vieta un contatto più profondo con l’emozione.
T: – Cosa ti dici per non piangere?-
P: – Dimentica… dimentica, altrimenti soffri. –
Parla a se stesso ripetendo una decisione esistenziale. Il piccolo Adulto ha “pensato” che in questo modo si sarebbe garantito la sopravvivenza con una decisione che, d’altro canto, gli avrebbe condizionato la vita; rendendola un deserto emotivo.
T: – Deve essere veramente grande la tua sofferenza. –
Parlo al presente mandando il messaggio all’Adulto di oggi e contemporaneamente al Bambino interiorizzato, la struttura della personalità che conserva il ricordo delle esperienze dolorose.
P: Resta insilenzio, sembra turbato.
T: -Per cosa soffri tanto?-
P: Di nuovo non risponde. Ora ha una espressione corrucciata, evita il mio sguardo. Si sente alle strette, sto forzando le sue difese, è chiaro che ha paura.
T: Cambio attitudine, uso un tono più protettivo: – Non vuoi dire?-
Lascio la presa per rassicurarlo che rispetterò la sua scelta di aprirsi di più oppure no.
P: Lunga pausa e poi: -Soffro tanto per il motivo per cui mangio troppo –
Rassicurato, si apre nuovamente.
T: – Cioè?
P: Parla tra i denti.
T: – Non ti sento. –
P: – Perché mangiando molto metto me stesso in uno stato di stress e tutto l’organismo è concentrato sulla digestione. –
T: – E cosa eviti con questo? –
P: – Evito il contatto con la realtà. –
T: – E da quale realtà scappi?-
Lo invito ad una maggiore concretezza.
P: – La realtà delle emozioni. –
T: – Da quali emozioni si è difeso il bambino piccolo piccolo?-
Il ponte con il passato e l’identificazione con il bambino fragile che è stato, favorisce un nuovo contatto con i suoi ‘segreti’ emotivi.
P: – Dall’angoscia di essere sopraffatto, di essere perdente –
T: – Da cosa hai capito di essere perdente? –
P: – Dalla costatazione che… –
Si interrompe.
T: – Sì? –
P: – Che è debole… gli altri sono forti, e allora bisogna vivere con cautela. – Ora la voce è velata di pianto. La convinzione radicata. “lo sono debole e gli altri sono forti” e la conseguente decisione, “Bisogna vivere con cautela”, lo mettono di nuovo in contatto con sentimenti dolorosi, che, tuttavia, ancora non si permette di vivere pienamente. Ha ridotto il suo spazio, si è rintanato in se stesso, è diventato cauto, “avaro”, separandosi dal proprio mondo emotivo.
T: -Cosa provi per questo?-
P: – Mi viene da piangere… –
lnfine piange sommessamente. Copre gli occhi con una mano e con l’altra il petto e la gola. ll bambino emotivo, sempre represso ma mai annullato, il mondo emotivo scisso, tendono prepotentemente a riemergere e lottano contro la “maschera” pallida, esangue, avara: la personalità schizoide, risultato delle decisioni esistenziali che si sono organizzate in una forma di adattamento che lo paralizza, che ha preso la struttura di un Genitore, un Genitore autogenerato che dirige e governa la sua esistenza. lntroiezione e retroflessione agiscono insieme.
ll primo ‘ovvio’ che mi si presenta è la retroflessione che sta attuando. Le mani che tendono a trattenere, a fermare il flusso energetico, che si apre un varco tra le difese. L’impulso è di agganciarmi a questa possibilità di far finalmente fluire l’energia tanto a lungo repressa. Ma dietro la retroflessione ci sono i messaggi introiettati dall’ambieme, e cosa ancora più importante, le elaborazioni che di tali messaggi ha fatto il piccolo Adulto. Quello che appare oggi è il frutto di un fenomeno complesso durante il quale gli stimoli iniziali, ricevuti dal bambino hanno subito un’elaborazione cognitiva di tipo arcaico, sono stati oggetto di un processo di idealizzazione che ha portato all’assunzione di modelli fissi, gestalt fittiziamente chiuse attraverso interpretazioni della realtà influenzate da una coloritura “passionale” che fa parte del suo patrimonio innato ed è, nello stesso tempo, frutto dell’esperienza di relazione con l’ambiente. Una scelta attuata non tra infinite possibili, ma soltanto entro un numero limitato di strutture di adattamento, ciascuna delle quali ha, naturalmente, innumerevoli varianti nel modo in cui si attualizza e si manifesta. In un attimo mi passa davanti la storia di A. , la storia che mi ha raccontato, la convinzione di essere omosessuale, la madre soffocante e tiranna che non lo ha voluto maschio. Quella madre che non ha mai chiamato mamma. ll padre volubile che da un lato lo protegge e dall’altro lo svaluta sostituendosi, anche nei compiti più semplici, al figlio che considera debole e incapace. Il fratello più grande, forte e maschio, che diventa un modello mai raggiunto. Lui, il bambino piccolo, allegro e vivace, si sente diverso nel confronto, ridicolo. Perde gioia e vitalità, si adatta ad entrare nell’ombra di un’esperienza ristretta, meschina, totalmente povera di stimoli, con unici momenti di “gloria” quando può apparire diverso, un po’ strano, “un soggetto”, di fronte a parenti e compagni. Ho gli occhi pieni di lacrime, sento la mia commozione. Identificazione? Un momento di empatia. Non lo nascondo, gli permetto di vedermi mentre condivido la sua commozione. Mi guarda e apparentemente non ha reazioni. So che sta ricevendo un permesso. Può permettersi di essere debole, di mostrare la sua fragilità. Faccio il tifo perché vinca il bambino antico.
T: – Cosa stai trattenendo?-
P: – C’è un pericolo nell`esprimersi… –
T: – Hai bisogno ancora di tanta cautela? Che pericolo corri se ti esprimi ? –
P: – C’è pericolo… –
Sembra perso in qualcosa di Iontano, di antico.
T: – Sì, quale? Per il bambino, il piccolo A., che pericolo c’è se si esprime?-
P : – Viene rimproverato, picchiato, criticato. –
T: – Anche se mostra la sua infelicità? –
P: – Mi conviene di più reprimere le emozioni e accondiscendere a quello che dicono gli altri. –
T: Anche quando A. è infelice?-
Continuo a parlare al bambino, a quella parte della personalità che ha preso le decisioni arcaiche e oggi ancora le tiene vive.
P: Non risponde. Non può avere una risposta logica.
T: – Non hai il diritto di sentire la tua infelìcità. –
P: Con più eccitazione – Divento ridicolo, vengo deriso, chiaramente…è successo. Vengo deriso, da mio fratello soprattutto. –
T: – E quali decisioni prendi per evitarlo?
P: – Di non provare più niente, stare all’erta, attento, scongiurare i vari pericoli ai quali vado incontro.
Ogni decisione contiene quello che sarà infine il suo schema di vita, il suo Copione: il ritiro in sè, la fuga dal mondo, l’evitamento del contatto con le emozioni: “l’isolamento”. Sembra che allo stato il piccolo contatto emotivo vissuto, il pianto sommesso che ha sperimentato, rappresentino già un alto livello di coinvolgimento. Per come riferirà nelle sedute successive si è sentito molto toccato dall’esperienza e per diversi giorni ha vissuto “un certo turbamento”. Gli chiedo di fare un collegamento con quanto ha detto aIl’inizio della seduta.
T: – Qual è il legame tra quanto è emerso e I’aIlattamento? Mettiti nei panni del lattante, che significato ha assunto per lui quell’esperienza? –
P: – ln effetti è il contatto,… è il contatto che ripudia, ripudia la madre…
-Il suo latte è acido, preferisce il fratello e in quel latte che la madre gli dà “Vive l’essenza della madre… che dovrebbe essere intrisa di affettività”. Lui, il lattante, la rifiuta. “Forse per ripicca” dice – “ami più lui”, il fratello, “e io non so che farmene del tuo affetto”. Rinuncia al suo spazio, si ritira: il fratello è il maschio di famiglia. Ma questo lo apprenderá più tardi, e si sentirà ridicolo, debole, fragile nel confronto con lui, fino al punto di rinunciare al riconoscimento pieno della sua mascolinità. Mescola le esperienze: l’allattamento, il confronto con il fratello, il comportamento paterno ed altre, saranno tutte legate tra loro in un unico processo logico, attraverso il quale giungerà a conclusioni che tendono ad una coerenza e quindi ad uno specifico adattamento che si manifesterà con una ben precisa tipologia caratteriologica. In termini di psicologia degli Enneatipi, possiamo individuare in questo paziente il tipo cinque, caratterizzato, come già accennato più sopra, da una coloritura passionale che, con linguaggio evocativo e metaforico, definiamo “Avaro” e da un nucleo cognitivo formato da un insieme coerente di decisioni esistenziali che confluiscono in una “fissazione”, che assume le caratteristiche dell”Isolamento”.
T: – E quale sentimento hai lasciato sepolto in quella storia? –
P: – L’astio. –
Lo dice con decisione, convinto. Dietro l’astio, il sentimento represso, ha lasciato anche l’energia per aprirsi al mondo, al contatto con gli altri senza il timore di essere rifiutato, o di cadere nel ridicolo. Oggi il non aprirsi all’esterno, lo star rinchiuso nella sua “tana”, è alimentato da una “idea pazza” fomatasi in età precoce: se spende quel poco di energia che è riuscito a trattenere, rischia la sopravvivenza. Non ci sono fonti dalle quali attingere, non c’è chi lo possa alimentare.
Trattenendo, ritenendo, rallenta la sua digestione con l’illusione di sentirsi pieno, sì, ma di un cibo che non lo nutre, che soltanto lo “abbuffa”, gli riempie il vuoto, ma non lo soddisfa. Dopo alcuni mesi di lavoro sul conflitto tra la parte “maschile”, forte, proiettata e quella “femminile”, fragile, nella quale si era identificato, mi ha riferito: ” Ora comincio a percepirmi uomo, vedo sempre più le differenze con la donna… per la prima volta ho litigato con i miei zii, ho difeso mio padre. Fino ad ora sono rimasto così remissivo per non dare dispiacere a mia madre. Ora non vale più la pena. Mamma e zia disprezzavano mio padre, quindi il mondo maschile è da disprezzare” e parlando della madre e della zia, “se voglio il loro amore meglio che mi identifichi con loro”. Queste idee del bambino, frutto di tante esperienze connesse, a volte contraddittorie, oggi assumono una logica per lui, e l’aver sperimentato la capacità di prendere una propria posizione anche litigando, gli permette di sciogliere l’ “astio” ottuso, chiuso, che gli aveva reso cosi difficile il rapporto con il mondo estemo. La terapia sta portando gradualmente A. al raggiungimento di due importanti obiettivi, entrambi oggetto di uno specifico accordo tra noi, definito nel contratto di terapia. Il primo obiettivo era di permettersi di vivere le proprie emozioni e l’altro di uscire dall’isolamento e di avere relazioni più soddisfacenti. In questo ambito rientra il desiderio di assumere un’identita sessuale più definita che gli consenta di vincere il timore di rapportarsi alle donne. Nel lavoro successivo sarà necessario entrare più specificamente nelle scene arcaiche, liberare “l’energia legata” che ancora gli impedisce un’esistenza più spontanea.
IL TERAPEUTA
L’esempio di seduta riportato, mette in evidenza alcune modalità di intervento terapeutico che mi sembrano particolarmente efficaci con pazienti del tipo presentato. Una trappola per il terapeuta può essere il desiderio di ottenere risultati e di vincere la propria noia, unita ad un senso di frustrazione, per il fatto che “non succede niente”. Aiuta molto un’attitudine rilassata, un’ironia scherzosa. La maggior parte del tempo parlo io, mi muovo molto, mi prendo cura di me. Questa attitudine, che sarebbe difficilmente accettabile da altre tipologie, come ad esempio la numero quattro, molto più avida e richiedente, piace ai cinque. È un permesso ad essere più fluidi, più sociali e a vivere gli aspetti del “Bambino libero” che così accuratamente reprimono. Non funzionano con loro le tecniche più tipicamente gestaltiche di espressione emotiva. Preferiscono ‘capire’ piuttosto che agire o esprimere. Il numero cinque gioca prevalentemente un ruolo di vittima ed il terapeuta può agganciarsi con un rifiuto dovuto a noia o con interventi persecutori, tendenti a ridicolizzare il paziente che in tal modo si conferma in convinzioni di copione. La ridicolizzazione persecutoria ha una sana alternativa nell’ironia scherzosa, mai svalutante, che tende ad attivare il ‘Bambino libero’ e a favorire comportamenti più sciolti, per imitazione. È importante che il terapeuta non addebiti la sua noia al paziente. Con persone che appartengono a questa tipologia, assumo in generale un ruolo molto attivo: interrogo, interpreto, affermo, provoco reazioni. Anche quando sembra che non succeda niente gli stimoli arrivano e agiscono aIl’interno. Nel gruppo di terapia sono contenti di assumere un ruolo di aiuto del capo. In ogni caso è necessario dosare gli interventi perché facilmente si sentono ridicolizzati e allora diventano permalosi e possono confermarsi nella loro diffidenza di fondo. La porta di accesso più agevole è quella cognitiva.
Elementi di copione:
Attraverso un’analisi storica e fenomenologica sono emersi alcuni elementi ricorrenti di Copione di pazienti appanenenti a questa tipologia. Alcuni degli aspetti comuni emersi sono relativi a:
lngiunzioni:
Non essere bambino (devi essere un ometto).
Non entrare in intimità.
Non esprimere sentimenti.
Non essere te stesso.
Convinzioni:
Non posso chiedere aiuto: mi prendono in giro (se lo faccio).
Non sono amato, sono riflutato.
Meglio non chiedere troppo, altrimenti perdo quel poco che ho.
Decisioni esstenziali:
Rinuncerò ai miei bisogni pur di stare vicino a te (mamma).
Non pemmetterò a nessuno di entrare nella mia vita.
Prenderò di nascosto senza chiedere.
Non mostrerò ciò che sento e provo (è un rischio).
Farò quello che ti aspetti da me.
Starò muto e solo perchè si accorgano di me.
Sarò all’erta.
Per il sub tipo sociale:
Sarò ad ogni costo speciale, sarò grande, onnipotente, almeno nell’immaginazione.
NOTE:
Non chiede per “stare vicino” e avere quel minimo che riesce a strappare. Il bisogno fondamentale del bambino è di garantirsi la sopravvivenza: si adatta al poco pur di sopravvivere. La famiglia è chiusa all’esterno. Relazioni solo con i familiari. Questa ricerca è basata su un numero ancora limitato di persone, benché significativo, ed è un primo approccio a quello che mi sembra possa essere un utile approfondimento per una proficua utilizzazione in terapia di un insegnamento che viene da antiche tradizioni.